1. L’assemblea nazionale dei quadri e degli attivisti dello Spi-Cgil, riunita a Montesilvano il 23 e 24 ottobre 2012, ha posto al centro il tema della confederalità del sindacato, che va non solo difesa, ma riconquistata e rinnovata, nel nuovo scenario politico e sociale. Praticare la confederalità vuol dire avere una visione di insieme, un progetto, un’idea programmatica per l’Italia e per l’Europa, evitando ogni forma di corporativismo. Ed è su questa base che il sindacato si costituisce come soggetto politico, senza collateralismi essenza subalternità rispetto all’insieme delle forze politiche. Lo Spi si colloca in questa prospettiva, come categoria generale, sindacalmente attiva. Di questa autonomia e di questa progettualità del sindacato c’è oggi una fortissima necessità, proprio perché è in atto, ormai da tempo, un attacco frontale alla sua funzione di rappresentanza generale, alla sua politicità, con l’obiettivo di chiudere tutti gli spazi della democrazia partecipata e di produrre così una miscela di decisionismo tecnocratico e di corporativismo sociale. La Cgil, nel suo insieme, ha contrastato con forza questa involuzione, ed è stata un essenziale punto di riferimento per un vasto movimento democratico, di lavoratrici, di lavoratori e di cittadini. Ma dobbiamo sapere che questa partita è ancora tutta aperta, che dobbiamo riscoprire e riattualizzare le nostre ragioni in un contesto politico che ha prodotto nuove drammatiche lacerazioni del tessuto sociale e civile del Paese. La confederalità deve essere il comune orizzonte per tutte le strutture territoriali e di categoria, le quali tutte concorrono, con le loro specificità, alla costruzione di un progetto unitario, e lo Spi è in prima fila in questo impegno di rilancio della confederalità. È nella natura stessa dello Spi, proprio in quanto intende rappresentare le persone nella fase critica dell’invecchiamento e del passaggio dal lavoro alla pensione, allargare il proprio sguardo all’intera condizione di vita, all’insieme delle relazioni sociali, per costruire una società che sia in grado di offrire a tutte e a tutti, nell’arco della loro vita, un pieno esercizio dei loro diritti di cittadinanza. Una nuova progettualità sindacale deve fondarsi su un’analisi concreta delle trasformazioni sociali in atto, per poter dare delle risposte puntuali ed efficaci alle nuove domande. In particolare, emergono tre grandi linee di cambiamento:l’accelerazione di tutti i processi di invecchiamento della società, l’ondata migratoria, i processi di frantumazione e di precarizzazione del lavoro. Di fronte a tutto ciò, va riprogettato l’equilibrio sociale complessivo del Paese, per dare alla nostra comunità quella coesione e quei vincoli di solidarietà che sono stati messi in crisi durante tutto il ciclo del liberismo dominante, un ciclo che è entrato vistosamente in crisi, ma che ancora continua ad orientare l’agenda 2 politica dei governi, producendo un gravissimo effetto di recessione e di inasprimento delle tensioni sociali.
2. Contro le derive tecnocratiche e plebiscitarie, occorre mettere in campo un programma coerente e rigoroso di democratizzazione del sistema politico, sviluppando tutti gli strumenti di controllo e di partecipazione. Alla crisi della democrazia si deve rispondere con un allargamento di tutti gli spazi partecipativi, in tutte le sfere della vita collettiva, nel territorio e nel sistema delle imprese, nella politica e nell’economia, senza che vi siano territori riservati solo agli addetti ai lavori, e mettendo in discussione tutte le strutture di potere di tipo oligarchico. Il sindacato può e deve essere un attore decisivo in questa battaglia per la democratizzazione, a condizione che sappia realizzare anche al suo interno, nel suo rapporto con i lavoratori e i pensionati, un metodo di totale trasparenza, di libera circolazione delle idee, e che si proponga di essere lo strumento al servizio di una diffusa e allargata pratica democratica. La rivendicazione del nostro ruolo negoziale e di una rinnovata concertazione con i diversi livelli istituzionali va intesa come un momento di un processo più largo e generale di partecipazione. E la nostra rappresentatività deve allargarsi e deve sapere includere quelle figure sociali che sono oggi messe ai margini e che faticano a trovare nel sindacato un efficace strumento di tutela. Per questo è sempre più il territorio il luogo in cui ricomporre l’unità del mondo del lavoro, sviluppando la contrattazione sociale e creando una rete organizzata per un efficace presidio democratico, a partire dalla struttura organizzativa delle leghe Spi e dal loro radicamento nel territorio. Quanto più ci si vorrebbe costringere in un angusto spazio corporativo, tanto più dobbiamo alzare il livello della nostra sfida, e proporci come i protagonisti di una nuova stagione di ricostruzione democratica. È questo il contributo che possiamo dare al rinnovamento della politica: essere in prima fila in tutte le battaglie per la sua democratizzazione, per ricostruire un rapporto fecondo tra cittadini e istituzioni.
3. Il cuore di un nuovo programma politico sta nell’affermazione della centralità del lavoro. Questa formula va vista in tutte le sue impegnative conseguenze, perché dire centralità vuol dire individuare il punto a cui tutto deve essere ricondotto, vuol dire quindi che in tutte le possibili scelte politiche è il lavoro la bussola che ci orienta nei diversi passaggi. È chiaro allora che occorre una politica economica del tutto diversa da quelle fin qui praticate, che sia orientata a produrre occupazione e a rafforzare i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Occorre contrastare con forza la crescita delle diseguaglianze, che ha 3 raggiunto livelli insostenibili, e affrontare con più determinazione il problema del reddito di lavoratori e pensionati. E la centralità del lavoro significa che sta qui l’identità della persona, la sua realizzazione, e che quindi occorre tenere insieme, in un rapporto assai stretto, diritti civili e diritti sociali. Diviene allora cruciale il problema di come si organizza il sistema delle imprese, se si riconosce la piena legittimità di una autonoma soggettività del lavoro, e si mettono in campo le necessarie procedure di confronto e di mediazione tra i diversi interessi, o se viceversa si vuole imporre un modello autoritario, per cui il lavoro è solo una variabile secondaria, che si deve del tutto adattare alle esigenze del mercato. È di moda dire che non c’è più il lavoro, ma solo i lavori. In realtà il mondo del lavoro è sempre stato estremamente differenziato, ma ha saputo, nei momenti alti della sua storia, darsi una coscienza e un’organizzazione unitaria, e questa esigenza di unificazione resta ancora oggi un obiettivo necessario. In questo quadro è decisiva l’unità tra lavoratori e pensionati, così come tra lavoratori stabili e precari. L’iniziativa della Cgil per un “piano del lavoro” è uno strumento assai importante per realizzare questa unificazione, e ciò richiede un processo partecipativo e democratico, per dare voce a tutte le situazioni di crisi e per dare vita, con il consenso e con il contributo diretto dei lavoratori, ad una forte e unitaria mobilitazione. Deve, per questo, continuare il nostro massimo impegno per rafforzare l’iniziativa sindacale con Fnp e Uilp, e al livello confederale, per dare più forza agli obiettivi e alla piattaforma unitaria.
4. Lavoro e welfare, sono per noi due aspetti strettamente connessi, e da questo loro legame, dalla loro coerenza dipende sia la qualità dello sviluppo e dell’organizzazione sociale, sia l’universalità dei diritti fondamentali. Le politiche di welfare sono quindi parte integrante di un piano per il lavoro. Ed è proprio su questo nesso che interviene sistematicamente, ormai da tempo, un lavoro di destrutturazione e di progressivo indebolimento dello Stato sociale, visto come un peso non più sopportabile. All’universalismo dei diritti si contrappone l’idea di una rete mutualistica, tutta affidata all’auto-organizzazione sociale, alla bilateralità, alle fondazioni private, lasciando allo Stato solo il lavoro residuale di un intervento di ultima istanza per le fasce sociali più deboli. Ne verrebbe un’ulteriore spinta alle disuguaglianze, sociali e territoriali, e un colpo durissimo alla coesione sociale del Paese. Il nostro principio è quello costituzionale dell’eguaglianza dei diritti sociali, che hanno bisogno di una garanzia pubblica e di una loro effettività su tutto il territorio nazionale. Una riforma federalista dello Stato può produrre condizioni di maggiore efficienza, con un raccordo più stretto tra l’azione amministrativa e i diversi contesti territoriali, a condizione che sia inquadrata in una prospettiva di solidarietà nazionale, senza nulla concedere agli egoismi territoriali. Non si può quindi accettare una federalizzazione dei diritti, ma al contrario resta tuttora aperto il grande tema del superamento del divario, economico e 4 civile, tra il Nord e il Sud del Paese. Tutto il sistema delle politiche sociali, nei decisivi campi della sanità, dell’istruzione, dell’assistenza, deve avere una regia nazionale, e deve poter disporre delle necessarie risorse per garantire l’uguaglianza dei diritti. Anche per questo insistiamo sulla necessità di un piano nazionale per la non autosufficienza, a cui le Regioni possono concorrere, ma in un quadro unitario, che definisca una griglia comune di diritti , di risorse, e di prestazioni.
5. Unificazione del lavoro vuol dire intervenire sui potenziali elementi di conflitto, ed esercitare un’efficace azione di mediazione e di sintesi. In particolare, lo Spi è impegnato in un lavoro di collaborazione e di alleanza con le giovani generazioni, non solo per affermare i valori di un comune patrimonio ideale, ma per dare risposte concrete agli squilibri che si sono determinati (nel sistema previdenziale, nel mercato del lavoro, nelle politiche sociali). Su questo tema si è organizzata una vera e propria campagna propagandistica e ideologica, per contrapporre giovani e anziani, per alimentare il conflitto generazionale, dal quale dipenderebbero tutte le nostre arretratezze. A ciò dobbiamo rispondere con grande fermezza, respingendo le premesse del tutto infondate di questa tesi, e costruendo, insieme con i giovani, una comune e innovativa agenda politica, per una società che sia capace di riconoscere a tutti, nelle diverse fasi della vita, il diritto alla dignità e alla libera realizzazione di sè. Il rapporto tra le diverse generazioni è un elemento essenziale della confederalità, della capacità del sindacato di tenere insieme in una visione unitaria le diverse domande sociali. Un aspetto importante di questo lavoro è l’iniziativa sulla memoria, per trovare nelle nostre esperienze passate le risorse morali e politiche da mettere al servizio delle battaglie di oggi. Per quanto riguarda la grande battaglia democratica per il pieno riconoscimento del ruolo delle donne nel lavoro e nella vita sociale, lo Spi, che ha già compiuto importantissimi passi in avanti verso un’organizzazione paritaria, continuerà in questa azione, rivolta non solo all’interno, ma all’insieme della nostra vita collettiva, con il contributo dei coordinamenti delle donne.
6. Tutti questi punti programmatici richiedono una svolta politica, e in questo senso è urgente chiudere la parentesi del “governo tecnico”, e contrastare tutte le manovre in corso per una sua continuità anche dopo le elezioni. Il paese ha bisogno di una nuova legittimità democratica, di un governo che sia l’espressione della volontà popolare, e ha bisogno soprattutto di una politica che sia in grado di riconquistare il suo spazio, di orientare 5 l’economia, di promuovere lo sviluppo, e che non sia a rimorchio della speculazione finanziaria e dei mercati. È questo il grande tema oggi aperto, in Italia e nell’Unione Europea: chi decide, una politica legittimata dal consenso, o strutture tecnocratiche che sfuggono ad ogni controllo. L’Europa può tornare ad essere un’idea mobilitante e un punto di forza della nostra comune coscienza civile solo se essa riesce ad incarnare un modello autenticamente democratico. Le prossime elezioni si caricano di tutti questi interrogativi, e per questo la nostra mobilitazione, politica, culturale e sociale, è decisiva per aprire davvero una fase nuova nella storia politica del nostro Paese. Questo significa la nostra confederalità: una sfida che dobbiamo saper reggere ad un livello alto, per un cambiamento non di formule o di schieramenti, ma di contenuti e di strategia. In questa prospettiva, data la gravissima situazione di emergenza in cui ci troviamo, occorre aprire in tutto il corpo dell’organizzazione un’ampia ed impegnata verifica democratica. Per tutte queste ragioni, l’Assemblea dei quadri e degli attivisti si riconosce nella relazione svolta dal Segretario generale Carla Cantone, che rappresenta per lo Spi il percorso strategico dell’oggi e per il prossimo futuro. L’Assemblea, nel condividere l’intervento conclusivo del Segretario generale Susanna Camusso, ritiene altresì interessanti e utili i contributi venuti dal dibattito in quanto hanno saputo valorizzare la centralità del ruolo attivo e generale dello Spi. Approvato all’unanimità