Pace e convivenza fra i popoli hanno rappresentato per noi il filo conduttore della nostra esistenza e del nostro impegno quotidiano in tutti questi anni di militanza sia politica che sindacale. Per queste ragioni, prevale un profondo sgomento, quando assistiamo ad atti di terrorismo come quello dei giorni scorsi a PARIGI. Per questo abbiamo coinvolto i giovani studenti, perché di questo vogliamo parlare. Ringrazio tutti i presenti, ma consentitemi un ringraziamento particolare ai ragazzi delle 5^ classi dell’Istituto Tecnico che sono con noi questa mattina Nina – Davide –Sara e Francesco che interverranno. Ai Professori D’Angelo e Bianco che hanno lavorato con loro e al Preside dell’Istituto Prof. Gianni Orecchioni al quale abbiamo affidato la Relazione ai nostri lavori. Ringrazio l’ANPI nella persona del Presidente Tonino Innaurato, il Partigiano Ciarelli che è con noi e interverrà ai nostri lavori. Ringrazio il Comune di Lanciano per il patrocinio dato alla nostra iniziativa …Il Sindaco e Presidente della Provincia Dott. Mario Pupillo. Ringraziamo la CGIL di Chieti, è con noi Germano di Laudo Segretario Provinciale, La Segretaria Regionale Giovanna Zippilli e il Segretario Nazionale Beniamino Lami che concluderà i nostri lavori. Tutti pensionati presenti: di Teramo con il segretario Prov.le Geppino Oleandro di Pescara con il segretario Provinciale Paolo Castellucci Le delegazioni delle leghe di tutta la Provincia di Chieti e ,,,, un grazie particolare per l’apporto prezioso, le idee e l’impegno va a tutta la Lega di Lanciano –al segretario Lucio Casciato alla Presidente Silvia Innocenti alla Segreteria e Direttivo, che hanno organizzato il nostro evento. A questo punto la parola alla Prof. Silvia Innocenti per la presentazione dei nostri lavori.
Saluto del Sindaco, Relazione Introduttiva, Saluto Segr. CGIL, Saluto Segr. Reg.le, Presidente ANPI, Partigiano, Ragazzi, Figlia di Partigiano, Conclusioni.
OMAGGIO ai ragazzi Poesia Primo Levi “se questo è un uomo”
CON GLI OCCHI DI TITO E MARCO
(Classe 5 sezione C Liceo scientifico “G.Galilei” Lanciano )
Lanciano, novembre 1943 La figura di una madre che riserva le ultime cure ai propri figli è l’ultima immagine a colori della famiglia Grauer; lei è intenta a chiudere le giacche, per tenere il gelo fuori e il caldo vicino al cuore, che sente, percepisce emozioni, che comprende e conosce, che parla delicatamente d’amore. Controlla le valigie, ordina i capelli, prende un cappello e dei guanti che potrebbero servire, l’ombrello no, è troppo ingombrante e potrebbe essere d’intralcio. Sono pronti ad uscire, con quella sensazione di aver dimenticato qualcosa, come quando si parte per una vacanza, più o meno lunga. Come se avessero avuto il diritto di scegliere dove andare e la possibilità di indossare o portare con sé qualcosa che ricordasse la vita prima della partenza. Lei avrebbe voluto infilare al polso il braccialetto della nonna, che sua madre le aveva regalato, e che le ricordava il valore di un legame oltre il tempo e lo spazio di questa terra, ma si ferma un attimo a pensare. Così lo scioglie delicatamente dal polso e lo nasconde sotto una mattonella un po’ ballerina, con il desiderio di poter tornare presto a prenderlo, e con la serenità, almeno, di non dover portare con sé il peso di una libertà spezzata ed offesa, che le stringeva la gola, quasi a soffocarla. Tende una mano a Marco e l’altra a Tito, per rassicurarli che in fondo sarà un bel viaggio, che staranno sempre insieme a vivere il futuro. Poi chiude gli occhi per un secondo, e li riapre verso suo marito, in cerca di una piccola sicurezza, di una dolce speranza anche per sé. Lui è alto, ha un portamento quasi solenne e un’espressione statica sul viso, a metà tra preoccupazione e fretta. Cammina veloce davanti al resto della sua famiglia, per sapere per primo cosa li aspetta, per potersi girare, e vederli arrivare, insieme, un’ultima volta. Vorrebbe concedersi qualche minuto per ricordare, ma non c’è tempo. Schnell! Schnell! Si sente urlare. In viaggio verso il campo di concentramento di Bagno a Ripoli, dicembre 1943 C’è un caldo finto nel vagone che si muove, fatto di affanni e sospiri, di preoccupazioni, di paure, di remote speranze che tutto sia solo un brutto sogno. Si vede solo un’apertura, in alto, dove può passare qualche raggio di sole, o di luna. L’aria è fredda, ogni volta che entra nei polmoni ha il sapore di una lama tagliente. I bambini hanno sonno. Tito vuole dormire in braccio alla sua mamma, ma lei non riesce ad allungarsi, non c’è spazio, così lui si stringe ai suoi piedi, stanchi, aggrappato alle sue gambe come fossero un cuscino. Marco lo imita, con la leggerezza che ha solo un fratello maggiore quando prende esempio dal più piccolo, e si appoggia sulle gambe del padre, più robuste sì, ma anch’esse fragili di fronte al carico enorme del proprio destino. I bambini non sono abituati ad essere ammassati, non sanno dormire sulle tavole di legno, non conoscono la stanchezza che ti assale e ti annienta. Non sanno dare un nome alle cose che stanno vivendo perché nessuno gliel’aveva mai insegnate prima. Si aggrappano ad un gesto, ad una parola, ad un sorriso, ad una carezza. La fame poi, che mai avevano conosciuto, li stordisce, li fa piagnucolare, gli contorce il viso, gli annebbia lo sguardo. Tutti su quel maledetto vagone smettono pian piano di essere umani e lentamente assumono le sembianze di Sofferenza, Dolore, Paura, Rabbia, Rassegnazione, Sconfitta, Dio, Crudeltà, Violenza, Odio. Carcere di Milano, gennaio 1944 I bambini non sono abituati a vedere le grate alle finestre, a sentire urla continue. Di notte passano veloci i guardiani delle celle, puntano una torcia nello spioncino della porta e imprecano qualcosa, forse per il freddo, forse per la rabbia o soltanto per noia, e poi vanno via, lasciando negli occhi di Marco e di Tito quelle macchie scure che si formano quando si fissa la luce dopo un lungo periodo di buio. I bambini hanno una visione del mondo colorata, ampia, sottile a tal punto da percepire ciò che i grandi fanno fatica a capire, eppure in quella stanza i colori sbiadiscono, il mondo appare all’improvviso in bianco e nero. Fuggono i sogni dai pugni stretti dei bambini, come tante volte sono volati via i palloncini colorati e leggeri acquistati alla festa del paese. Quella stanza è solo un luogo disperato fatto di leggeri brusii e urla strazianti, di pianti convulsi, isterici e di un silenzio pesante, freddo, inquietante. Tito gioca con gli altri piccoli bambini che sono lì accanto, come per voler ritrovare e tuffarsi ancora in quel mondo colorato che era stato fino a qualche giorno prima il suo terreno di gioco. Marco, che sapeva già leggere e scrivere, provava a ricordare la sua poesia preferita, quella che aveva ripetuto a Natale: l’aveva imparata da poco e ne andava fiero. Provava, ma non ci riusciva. Non gli tornava in mente la prima parola, quella che ha il compito di sciogliere l’intricata matassa di versi e strofe e che d’incanto fa scivolare la poesia fuori dalla mente. E’ come paralizzato, al posto delle rime gli tornano in mente suoni duri, aggressivi, pronunciati e masticati tra i denti come se provenissero da un cane che ringhia. Tito e Marco, e gli altri bambini, non sanno più distinguere bene le facce degli uomini in uniforme che assumono tutti lo stesso aspetto. Non sanno che stanno diventando solo un corpo da smaltire o da seviziare. La loro ingenuità li preserva dalla consapevolezza. Sono convinti che tutto finirà presto, credono a chi ha detto loro che la notte passerà in fretta e che torneranno a sorridere e a giocare allegri, sotto il cielo azzurro del loro avvenire. Nessuno gli ha spiegato, però, qual è la scadenza del loro tempo, né dove lo finiranno. Convoglio n.6, febbraio 1944 Tito trascorre il suo secondo compleanno sul treno che lo porta ad Auschwitz, inconsapevole di essere cresciuto fisicamente troppo poco per sopravvivere. Qualcuno dice che li stanno portando oltre oceano, che presto vivranno su una terra nuova dove potranno rialzarsi e non essere mai più curvi, mai più ripiegati su se stessi. Molti hanno perso ormai la cognizione del tempo e dello spazio, sono animali in gabbia, destinati al macello. Samuel e Maria, il papà e la mamma di Tito e Marco, sono quasi diventati irriconoscibili allo sguardo dei loro piccoli, incutono timore. Gli occhi della madre sono avvolti in un alone scuro di stanchezza, di rinuncia, di sonno perduto. Sono diventati opachi, spenti, aridi. Il padre ha perso spessore sulle guance, che sono rientrare sotto gli zigomi. E’ dimagrito in fretta, ha smesso quasi di mangiare per lasciare un pezzo di pane in più ai suoi figli. Auschwitz-Birkenau Marco compie quattro anni il giorno in cui entra ad Auschwitz, il primo e l’ultimo per i fratelli. Quando si accorge di aver perso di vista i suoi genitori prende la mano di Tito, la stringe, al punto da far male, da non lasciarla mai più. In fila per due, sulla strada che percorrono i bambini troppo esili o troppo poco speciali per essere oggetto di esperimenti, Marco e Tito camminano mano nella mano. Dall’alto i bambini appaiono come tanti piccoli puntini che formano una lunga serpentina, che barcolla, che sbanda, ma che continua imperterrita ad avanzare. Tito e Marco non si dividono, si guardano, sorridono. Si stringono forte la mano. Sognano insieme. Per sempre. E’ il 6 febbraio del 1944. Agnese Troilo