Il 10 ottobre è la giornata mondiale della salute mentale che l’Organizzazione mondiale della sanità ha dedicato quest’anno ai giovani e a quelle condizioni di vita che possono produrre disagio mentale: dallo stress vissuto in aree colpite da emergenze umanitarie, fino all'utilizzo improprio delle tecnologie online.
In Italia, quarant’anni fa, la legge 180 cancellò i manicomi, in nome della dignità e dei diritti di ogni persona. Sappiamo che approvare e far vivere la legge 180 non è stato facile. Ci sono voluti anni per abolire il manicomio – “istituzione totale, distruttiva e irriformabile”, secondo Franco Basaglia – e altri vent’anni anni per chiuderli davvero grazie al decreto Bindi del 1999. Tutto era iniziato con la nomina di Basaglia a direttore di manicomio, prima a Gorizia nel 1961 e poi a Trieste nel 1971.
In tante parti d’Italia, negli stessi anni, fiorivano esperienze simili (a Parma, Arezzo, Ferrara, Nocera Inferiore, Perugia, eccetera) e intanto, nel 1968, veniva approvata la legge 431 che interveniva sugli aspetti più degradanti delle norme che regolavano l’esistenza dei manicomi. Ma fu la legge 180 del 1978 a sancire la svolta radicale. Con la liberazione – seppur lenta, faticosa, graduale – di migliaia di uomini e di donne internati in manicomio sono stati restituiti dignità, diritti e quindi cittadinanza alle persone con disturbi mentali. E da quel momento nessuno è stato più relegato in un manicomio.
La stessa recente chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari è stata possibile grazie alla legge 180. Tante volte abbiamo detto che non è stata una conquista isolata, ma maturata al culmine di un periodo di lotte sociali e sindacali. Non è un caso che nello stesso anno, il 1978 (l’anno terribile dell’assassinio di Aldo Moro da parte del terrorismo brigatista), vennero approvate tre grandi riforme del welfare italiano: la legge 180 appunto, la legge 194 e, infine, e la legge 833 di riforma sanitaria.
In questi anni, la legge 180 è stata ostacolata e solo parzialmente attuata. Basti pensare alle tante strutture residenziali diventati cronicari, luoghi di custodia invece che di cura e riabilitazione. Oppure, come denuncia la campagna “E tu slegalo subito”, si pensi alla pratica diffusa della contenzione meccanica (e a quella nuova dei farmaci). E, ancora, alla carenza di risorse e di personale che ha indebolito i servizi nel territorio. Il risultato è che molte persone sofferenti e i loro familiari si sentono abbandonati e persevera lo stigma della pericolosità sociale per il "matto".
Tutto ciò rappresenta una forma di tradimento della legge 180. In questa situazione si ripropongono in Parlamento da forze di maggioranza, e perfino da esponenti del Governo, pericolose ipotesi di ritorno al passato manicomiale che vanno respinte senza se e senza ma. L’Organizzazione mondiale della sanità considera l’Italia una paese leader per la salute mentale, non solo perché dispone della legislazione più avanzata, ma per i risultati ottenuti laddove, a livello locale, una diffusa rete di servizi sociali e sanitari integrati e guidati dai Dipartimenti di salute mentale aiuta le persone a curarsi e a guarire restando nel proprio ambiente di vita. In queste realtà si spende meno per residenze e luoghi separati dalla comunità e sono state investite risorse per attivare servizi diffusi nel territorio aperti h 24. Accessi tempestivi alle cure, compresi buoni farmaci, e strumenti per agire su fattori determinanti per lo statuto di salute: con sostegni per l’abitazione, l’inserimento al lavoro, l’inclusione sociale e un’attenzione alle condizioni dei giovani esposti a nuovi rischi per la salute mentale.
Ecco perché diciamo che il modo migliore per onorare la legge 180 è evitare celebrazioni retoriche e piuttosto riprendere la lotta per un rilancio e una riqualificazione dei servizi di salute mentale, affermando nel concreto i princìpi e gli obiettivi della Riforma Basaglia, che per noi resta un formidabile motore di trasformazione delle istituzioni e di affermazione dei diritti civili e sociali per tutti.
Per questo sosteniamo la mobilitazione lanciata da tante associazioni con l’Appello “Diritti, Libertà, Servizi per la salute mentale” per la convocazione di una conferenza nazionale per la salute mentale e perciò, anche in vista della manovra finanziaria, abbiamo lanciato unitariamente come Cgil, Cisl, Uil una vertenza per il rilancio del Ssn pubblico e universale.
Stefano Cecconi è responsabile Politiche della salute Cgil nazionale; Rossana Dettori è segretario confederale Cgil nazionale