Ben quindici task force e oltre 450 consulenti sono stati chiamati ad affrontare la pandemia e a pianificare il ritorno alla normalità. Le donne si contano sulle dita di una mano. Nessuna donna nel comitato tecnico-scientifico che lavora con la Protezione civile. Quattro donne su 17 in quello che affianca il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Se poi passiamo dal livello nazionale alla miriade di comitati regionali la situazione non cambia, le donne sono un’infima minoranza. Altro che parità di genere: chi ha il potere di decidere continua a scegliere competenze maschili.
Le polemiche sono esplose e nel giro di poche settimane associazioni della società civile, intellettuali, economiste e politiche, semplici cittadine hanno firmato tre appelli per denunciare che l’invisibilità femminile è ingiusta ma anche controproducente. Le donne dicono basta ed esigono di vedere riconosciute le proprie capacità ed esperienze.
“Risollevarsi da importanti tragedie collettive non è solo ricostruire, ma condividere una visione per decidere una nuova società” – si legge nella lettera aperta indirizzata al presidente del Consiglio. “Noi donne vogliamo la piena realizzazione della democrazia senza esclusioni e segregazioni, primo motivo dell’impoverimento del nostro Paese”. In pochi giorni, la missiva è stata ampiamente rilanciata sui social con l’hashtag #datecivoce diventando virale e sono arrivate migliaia di sottoscrizioni (www.datecivoce.it).
Sono oltre duemila le adesioni individuali e novanta quelle delle associazioni che si battono per la parità di genere a un’altra Lettera Aperta, indirizzata dalla storica rivista Noi Donne a Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, e a Christine Lagarde, Presidente della Banca centrale europea, per chiedere una rinascita solidale e inclusiva dell’Europa, fondata sul valore dell’essere umano e sulle esigenze delle donne, troppo a lungo trascurate dalla storia.
Si rivolge invece direttamente ad Angelo Borrelli, capo del Dipartimento della Protezione civile, la lettera recapitata da Se Non Ora Quando: “Abbiamo dovuto assistere per giorni, chiuse nelle nostre case, insieme alle nostre figlie e nipoti, a conferenze stampa quotidiane in cui parlavano sempre uomini e che comprendevano un’unica presenza femminile: l’interprete LIS, utilissima e preziosa certo, ma muta. In questo momento – prosegue la lettera – ascoltare la parola di esperte oltre che di esperti può essere determinante anche alla risoluzione dell’emergenza. Autorevoli articoli nazionali e internazionali indicano che le donne sono al governo di paesi nel mondo che se la stanno cavando meglio in questa emergenza”.
La crisi sanitaria ed economica che stiamo affrontando è del tutto inaspettata e ci obbliga a ripensare il ritorno alla vita normale in modo rinnovato. Le ripercussioni sulle donne, anche se sono state meno aggredite dal virus, rischiano di essere più dirompenti. Pensiamo al lavoro di cura enormemente accresciuto dall’isolamento domestico; pensiamo a cosa accadrà quando uffici e negozi riapriranno e non saranno accompagnati dalla ripresa delle attività scolastiche e degli asili nido. Quante donne stanno perdendo lavori considerati più marginali perché sono part-time, a partita iva o stagionali? Per le donne il ritorno alla normalità rischia di essere più faticoso e lento. Una ragione di più perché esse abbiano il ruolo a cui hanno diritto nel gettare le fondamenta del paese post Covid19.