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Ci tagliano anche la reversibilità?

Pubblicato in Rassegna stampa
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da Il Centro 17 febbraio 2016 di Antonio De Frenza - Il governo pensa a una legge. In Abruzzo gli assegni sono 96.153. Ecco chi può essere interessato.

«Per il futuro non è allo studio nessun intervento sulle pensioni di reversibilità; tutto quello che la delega si propone è il superamento di sovrapposizioni e situazioni anomale». Questa la rassicurazione del ministro del Lavoro Giuliano Poletti dopo il diluvio di critiche successivo all’annuncio che esiste un disegno di legge delega del governo in cui si riforma l’istituto della pensione di reversibilità, una colonna del sistema di welfare italiano.

Il commento più benigno è che il governo «vuol fare cassa sulle vedove», visto che in gran parte sono loro le titolari degli assegni di reversibilità. Sempre Poletti infatti aggiunge per evitare false paure: «La proposta di legge delega del Governo lascia esplicitamente intatti tutti i trattamenti in essere». Dunque se si farà cassa sulle vedove, sarà su quelle future. Sono perciò salve le quasi 100mila pensioni di reversibilità erogare in Abruzzo. Per il resto è difficile capire le intenzioni del governo, perché il testo disponibile, essendo una legge delega, rimanda a un prossimo provvedimento del governo. Si parla semplicemente di introdurre «principi di universalismo selettivo nell’accesso delle prestazioni» di reversibilità, secondo «criteri di valutazione della condizione economica in base all’Isee».

Di che cosa si tratti lo ha spiegato il neoletto segretario generale dello Spi (il sindacato dei Pensionati), Ivan Pedretti: «Secondo questo disegno di legge le reversibilità vengono considerate prestazioni assistenziali e non più previdenziali. Che cosa significa e che cosa comporta tutto questo? Significa che l’accesso alla pensione di reversibilità d’ora in poi sarà legata all’Isee, per il quale conta il reddito familiare e non quello individuale. Di conseguenza il numero di coloro che vi avranno accesso inevitabilmente si ridurrà». Secondo Pedretti la manovra del governo è «tecnicamente impropria» e «rischia di aprire un contenzioso anche a livello giuridico. La pensione di reversibilità infatti», spiega il sindacalista, «è una prestazione previdenziale a tutti gli effetti, legata a dei contributi effettivamente versati. Che in molti casi quindi sparirebbero nel nulla, o meglio, resterebbero nelle casse dello Stato». Una manovra che danneggia soprattutto le donne, «perché l’età media degli uomini è più bassa e la reversibilità è quindi una prestazione che riguarda soprattutto loro». Donne che oltretutto sarebbero doppiamente colpite, secondo il segretario generale della Spi, perché hanno una pensione mediamente inferiore a quella degli uomini. E che in futuro rischiano quindi di impoverirsi ulteriormente.

Oggi le pensioni di reversibilità sono circa 4,5 milioni, il 14% della spesa totale, mediamente l’importo è di 650 euro mensili. Per capire su quale platea andrà a incidere il governo occorre ragionare per scaglioni. Nel 2015 sono state erogate 120 mila pensioni di reversibilità di lavoratori dipendenti, di queste, 97 mila stanno sotto i mille euro, 15.500 tra i mille e i 1500 euro, 2.270 tra i 2.000 e i 3.000 euro mensili, 607 sopra i tremila euro.

In Abruzzo la platea totale delle pensioni di reversibilità, sia da dipendenti che da lavoratori autonomi era, secondo i dati di Inps Abruzzo, di 96.153 nel 2015, di queste, ben 91.096 sono sotto i mille euro; 5.057 superano i mille euro. Di queste solo 293 superano i duemila euro, una cifra che il governo sembra considerare “d’oro”. E’ improbabile che gli scaglioni più alti possano essere toccati, mentre potrebbero essere modificate le regole sul cumulo tra reversibilità ed altri redditi, fino quasi ad azzerare l’istituto, senza cancellarlo per problemi di evidente costituzionalità. Con le attuali regole l’importo della pensione viene ridotto del 25% in presenza di un altro reddito superiore a 3 volte il trattamento minimo (1.500 euro), del 40% per un reddito superiore a 4 volte il trattamento minimo (2000 euro), del 50% per un reddito superiore a 5 volte il trattamento minimo (2.500 euro). Le maglie si restringerebbero ulteriormente se l’unità di misura diventasse il nuovo Isee (l’Indicatore di situazione economica equivalente che valuta la situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali o agevolazioni, per esempio sullo studio). Dal 2015, infatti, per il calcolo dell’Isee si considerano anche le proprietà e la composizione del nucleo familiare. Questa eventualità viene esclusa in via di principio dai tecnici (ma anche dal viceministro dell’Economia Enrico Zanetti), perché sarebbe come pesare le mele con il metro, visto che l’erogazione delle pensioni dipende dai contributi versati mentre l’Isee è un indicatore nato per selezionare l’accesso alle prestazioni sociali. Spiega infatti Zanetti: «L'Isee ha senso se parliamo di prestazioni assistenziali, dove entra in ballo l'equità. La reversibilità non è elemento assistenziale, ma previdenziale».

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